1. LA RIVOLUZIONE FRANCESE: UNO SGUARDO COMPLESSIVO
Con il termine “Rivoluzione Francese” si intende l’insieme degli eventi politici e sociali avvenuti in Francia tra il 1789 e il 1795, che hanno portato al rovesciamento della monarchia assoluta dei Borbone e alla fine della società di “Ancien Régime”, alla formazione della monarchia costituzionale e successivamente all’instaurazione della Repubblica.
La Rivoluzione Francese ha segnato in modo profondo la storia dell’Europa, e ha contribuito alla diffusione in tutto il continente europeo degli ideali dell’Illuminismo, dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino (come la libertà di pensiero, di parola e di stampa), del valore della democrazia e della separazione dei poteri dello Stato, della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e alla loro possibilità di autodeterminarsi attraverso i partiti politici.
La Rivoluzione Francese è sicuramente un fenomeno complesso, di cui gli storici hanno dato interpretazioni diverse e in qualche caso contrastanti: nonostante sia durato pochi anni, è caratterizzato da un’evoluzione rapida e stratificata, e quindi si articola al suo interno in diversi periodi. Per tracciare un quadro generale utile all’analisi degli avvenimenti più importanti, anche a costo di operare una semplificazione, possiamo distinguere tre fasi fondamentali della Rivoluzione Francese: una prima fase (che possiamo definire “moderata” o “borghese”), che va dal mese di giugno del 1789 alla fine del 1791, culminante nella Costituzione del 1791, che stabilisce per la Francia come forma di governo una monarchia costituzionale sul modello di inglese, in cui il Parlamento viene eletto a suffragio censitario soltanto da una parte dei cittadini maschi. Vi è poi una seconda fase, che va dal 1792 al 1794, caratterizzata dall’instaurazione della Repubblica, dal suffragio universale maschile e della guerra contro le monarchie assolute europee (si tratta di una fase che possiamo definire “democratica”). Infine, tra la conclusione del 1794 e l’inizio del 1795, si apre una terza fase della Rivoluzione Francese, con il ritorno ad un governo borghese e moderato, in cui la partecipazione dei cittadini alla vita politica è limitata, come nella prima fase, attraverso la restrizione del diritto di voto.
1. Costruisci una tabella sul tuo quaderno, indicando le caratteristiche fondamentali delle tre fasi della Rivoluzione Francese.
2. LE CAUSE DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE
Come per molti altri fenomeni storici, anche per la Rivoluzione Francese è possibile individuare delle cause profonde, riguardanti cioè dinamiche storiche di lungo periodo, e altre cause immediate, che devono essere ricercate nella situazione sociale ed economica della Francia nella seconda metà del XVIII sec.
Tra le cause profonde della Rivoluzione Francese è possibile individuare la disuguaglianza che contraddistingueva la struttura della società di antico regime, organizzata in “stati” o “ordini”, che la Francia condivideva con altri paesi europei: il primo e il secondo stato (rispettivamente il clero e la nobiltà) insieme componevano soltanto il 2% della popolazione francese, ma godevano di molti privilegi non concessi al resto dei cittadini francesi e detenevano circa il 30% della ricchezza totale del paese. Inoltre, gli ecclesiastici e l’aristocrazia obbedivano a leggi diverse da quelle a cui era sottoposto il terzo stato: ad esempio, quando venivano processati, venivano giudicati da corti formate esclusivamente da membri del loro ordine sociale. Infine, non dovevano versare alcuna tassa allo stato, ma contemporaneamente potevano imporne, a proprio vantaggio, sui cittadini che abitavano i territori sotto il loro controllo; in molte regioni francesi infatti erano ancora in vigore i privilegi feudali risalenti al Medioevo: i nobili potevano imporre ai contadini le corvées, come ad esempio la tassa per macinare il grano, per transitare su un determinato territorio, oppure potevano richiedere una prestazione di lavoro gratuita. Conseguentemente, il terzo stato, che rappresentava il 98% della popolazione francese, si trovava in una condizione di subalternità economica rispetto agli altri due stati: oltre a non godere di questi privilegi economici e fiscali, non aveva alcuna rappresentanza politica.
Fonte iconografica n. 1: “Il grande peso”, Taglia, imposte e corvée, stampa anonima, Biblioteca Nazionale, Parigi.
La vignetta rappresenta le tasse (taglia e imposte) e le corvée che, come una pietra, gravano sul Terzo stato, ma che sono nello stesso tempo la base della ricchezza della nobiltà e del clero.

Fonte iconografica n. 2: “Il risveglio del Terzo stato”, incisione anonima a colori, Museo Carnavalet.
La vignetta rappresenta il Terzo stato che rompe le catene che lo imprigionavano e prende le armi contro la nobiltà e il clero.
A queste cause di lungo periodo, si aggiungono una serie di cause immediate, collocabili negli anni immediatamente precedenti allo scoppio della Rivoluzione. Proprio nella seconda metà del Settecento, durante il regno di Luigi XVI di Borbone, la Francia viveva una fase di profonda crisi economica e sociale, dovuta a molteplici fattori: una serie di scarsi raccolti che avevano fatto aumentare il prezzo del pane, al punto che le classi sociali più povere, e in particolare i salariati delle città, finirono in miseria; il crescente indebitamento dello stato francese, che aveva sostenuto grandi spese per finanziare l’indipendenza degli Stati Uniti d’America dall’Inghilterra; la perdita di prestigio della monarchia di Luigi XVI di Borbone, a cui i francesi rimproveravano il matrimonio con la straniera Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, che veniva chiamata con disprezzo “l’Austriaca”; la diffusione presso i ceti più colti e gli intellettuali borghesi delle idee dell’Illuminismo, che sostenevano l’uguaglianza tra gli uomini e la necessità di garantire a tutti i diritti fondamentali come le libertà di pensiero e parola; infine, proprio le resistenze da parte dei ceti nobiliari ad accettare una riduzione dei loro privilegi, causavano un diffuso malcontento dell’opinione pubblica, che cominciava a mettere apertamente in discussione il sistema sociale di antico régime, avanzando richieste di rappresentanza politica, sull’esempio della Rivoluzione americana.
2. Sintetizza sul tuo quaderno e memorizza le cause della Rivoluzione Francese, mettendone in evidenza le due tipologie.
3.1 LO SCOPPIO DELLA RIVOLUZIONE
Nonostante i tentativi del ministro delle finanze Necker, che aveva senza successo cercato di risanare il bilancio dello stato imponendo tasse a tutte le classi sociali (e quindi anche al clero e alla nobiltà), l’opinione pubblica francese ritenne che l’unica possibilità di uscire dalla grave crisi economica e sociale fosse la convocazione degli Stati Generali, un organismo politico formato dai rappresentanti di tutti gli ordini (o “stati”) che componevano la società francese, e cioè il clero, la nobiltà e il terzo stato.
Tutti le classi sociali spingevano per la convocazione degli Stati Generali: da una parte clero e nobiltà desideravano evitare l’imposizione di tasse e mantenere inalterati i propri privilegi; dall’altra, il terzo stato invece chiedeva più diritti e maggior equità nell’imposizione fiscale. Le richieste dei tre stati furono raccolte nei “Cahiers de doléances”, i “Quaderni delle lamentele”, che dovevano essere sottoposti al re durante i lavori dell’assemblea: il terzo stato, in particolare, chiedeva l’abolizione della decima e dei privilegi dei signori feudali.
Sulla spinta di queste richieste, il 5 maggio del 1789 il re di Francia Luigi XVI di Borbone convocò l’assemblea degli Stati generali. La composizione degli Stati Generali era prevalentemente borghese e di ispirazione politica moderata: oltre ai nobili e al clero, il terzo stato era rappresentato da uomini di legge, professionisti ed intellettuali, mentre erano rappresentati in misura decisamente minore le classi sociali più umili (come gli artigiani e i contadini) e i ceti produttivi (come imprenditori e commercianti).
Chiamata ad esprimere il proprio punto di vista sull’imposizione delle tasse, gli Stati Generali, tuttavia, non riuscirono a trovare un accordo sulle proposte da avanzare a Luigi XVI, né sul metodo da adottare per esprimere il proprio voto: clero e nobiltà, seguendo la tradizione degli Stati Generali, volevano votare “per ordine”, in modo che ognuno dei tre stati esprimesse un solo voto (e quindi con un massimo di tre voti, uno ciascuno per stato); diversamente, il terzo stato voleva che si votasse “per testa”, in modo che ogni rappresentante presente agli Stati Generali potesse esprimere un singolo voto, autonomo e indipendente. È evidente che, votando per ordine, clero e nobiltà avrebbero sarebbero riusciti a fare fronte comune e difendere i propri privilegi, isolando il terzo stato; al contrario, votando per testa, avrebbe vinto il terzo stato, che aveva la maggioranza dei rappresentanti degli Stati Generali.
3.2 L’ASSEMBLEA NAZIONALE COSTITUENTE
Poiché, quindi, l’assemblea degli Stati Generali non riusciva a trovare un accordo sul metodo di voto, il terzo stato prese una decisione del tutto autonoma, che spezzava i precari equilibri politici della Francia in questa fase storica: il terzo stato infatti decise di autoproclamarsi Assemblea Nazionale (17 giugno 1789), dichiarando di essere l’unico rappresentante del popolo francese e sostituendo in questo modo l’assemblea degli Stati Generali. Con la scelta da parte di alcuni rappresentanti del clero (in particolare del basso clero) e di alcuni nobili di schierarsi con il terzo stato, l’assemblea degli Stati generali cambiò il proprio nome in quello di Assemblea Nazionale Costituente (9 luglio 1789), che si proponeva esplicitamente lo scopo di dare alla Francia una Costituzione, ovvero una legge fondamentale, interrompendo in modo netto la tradizione della monarchia assoluta francese, e che guardava, diversamente, al modello della monarchia parlamentare inglese.
Fonte iconografica n. 3: “Il giuramento della Pallacorda»”, di Jacques-Louis David, Versailles, Musée National, 1790-1791, disegno a penna e bistro.
In questo quadro il pittore neoclassicista J.-L. David rappresenta il momento solenne in cui il Terzo Stato si autoproclama Assemblea Nazionale Costituente.
Con la proclamazione dell’Assemblea nazionale costituente si compì il primo atto della Rivoluzione Francese. Luigi XVI, temendo il ridimensionamento della sua figura e della monarchia assoluta, tentò inutilmente di arrestare l’azione dell’Assemblea: il popolo di Parigi insorse il 14 luglio 1789, assaltando la Bastiglia, prigione e fortezza simbolo della monarchia assoluta, dove liberò i prigionieri politici e soprattutto recuperò armi e munizioni utili alla causa della rivoluzione.
Fonte iconografica n. 4: “Presa della Bastiglia”, dipinto di J.P. Houël, 1789, Biblioteca Nazionale di Francia.
Non essendo in grado di controllare questi tumultuosi eventi, Luigi XVI ritirò le truppe fedeli al re e concesse la formazione della Guardia Nazionale, un corpo militare formato da cittadini della capitale che non rispondeva delle proprie azioni direttamente al re, ma al Municipio di Parigi.
Nel frattempo, nelle campagne francesi divampava la cosiddetta “Grande paura”, una diffusa rivolta dei contadini contro i signori feudali, causata da un periodo di carestie e di scarsi raccolti, e contemporaneamente dal timore che venisse ristabilito con ferocia il potere dei nobili e dei signori feudali sulle campagne: si erano infatti diffuse molte voci secondo cui eserciti di briganti e stranieri sarebbero venuti nelle campagne francesi a distruggere i raccolti e uccidere i contadini per vendicare il potere dei nobili proprietari terrieri.
3.3 LE RIFORME DELL’ASSEMBLEA NAZIONALE COSTITUENTE
Per porre fine a questa situazione di elevata tensione e ristabilire l’ordine sociale, l’Assemblea Nazionale Costituente decise di attuare una serie di importanti riforme sul piano economico-sociale e politico-amministrativo.
Innanzitutto, sul piano economico e sociale, l’Assemblea Nazionale Costituente decise di sopprimere i privilegi fiscali della nobiltà e di liberare i contadini dai vincoli feudali che li legavano ai proprietari terrieri delle campagna: i contadini, quindi, non avrebbero più dovuto pagare per transitare su una certa strada, o per poter macinare il grano al mulino del signore, né avrebbero dovuto cedere parte del loro raccolto o del loro lavoro ad un signore. In secondo luogo, l’Assemblea, il 26 agosto 1789, emanò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che recepiva i capisaldi fondamentali del pensiero e illuminista, e stabiliva per tutti i cittadini le libertà fondamentali di pensiero, di parola e di stampa; inoltre la Dichiarazione stabiliva l’uguaglianza di tutti i cittadini e, ispirandosi al principio politico della sovranità popolare (e cioè che il potere non appartiene al re ma a tutto il popolo), abolì la monarchia assoluta. In terzo luogo, l’Assemblea Nazionale Costituente prese dei provvedimenti rivoluzionari nei confronti del clero: per far fronte al pesante debito pubblico dello stato, furono confiscate le proprietà della Chiesa, affinché potessero essere vendute e lo Stato potesse incamerare denaro dalla loro vendita; inoltre, sempre riguardo al rapporto tra lo stato e la chiesa, approvò la “costituzione civile del clero”, in base alla quale parroci e vescovi venivano eletti dai fedeli, erano stipendiati dallo Stato e dovevano giurare fedeltà alla Costituzione.
Sul piano amministrativo, l’Assemblea Nazionale Costituente riformò l’amministrazione dello Stato, dividendo il territorio francese in 83 dipartimenti; furono introdotte delle riforme che avevano l’obiettivo di garantire una maggiore equità sociale, come ad esempio un sistema di tassazione proporzionato ai redditi dei cittadini e la garanzia di una giustizia gratuita e accessibile a tutti i cittadini.
Infine, sul piano politico, nel settembre del 1791 fu approvata la Costituzione, che sancì la nascita della monarchia costituzionale, fondata sul principio della separazione dei poteri, già delineato nei suoi tratti generali dal Barone di Montesquieu: il potere legislativo (quello di fare le leggi e di dirigere la politica generale del paese) passò ad un parlamento denominato Assemblea Legislativa, composto di 745 rappresentanti eletti ogni due anni. Il re manteneva il potere esecutivo, e a lui spettava la nomina dei ministri e il diritto di non firmare e promulgare una legge scritta dal Parlamento; tuttavia il potere del re era soggetto a delle precise limitazioni: non poteva infatti sciogliere a piacimento l’Assemblea Legislativa, né dichiarare guerra, né firmare trattati di pace, poiché questi compiti spettavano esclusivamente all’assemblea eletta dai cittadini. Infine, il potere giudiziario fu affidato alla magistratura, indipendente in quanto eletta direttamente dal popolo. Nonostante la Costituzione del 1791 avesse definitivamente posto fine alla monarchia assoluta in Francia, non si trattava di una costituzione pienamente democratica: il diritto di voto infatti era esteso soltanto agli uomini al di sopra dei 25 anni che pagavano tasse elevate; rimanevano quindi escluse le donne e i ceti più umili del terzo stato. La Costituzione del 1791 è quindi a tutti gli effetti una costituzione borghese.
4.1 LA CRISI DEL PROGETTO MODERATO
Nel corso della prima fase della Rivoluzione Francese, il re di Francia, Luigi XVI, era stato privato del suo potere ed era stato costretto a trasferirsi con la corte da Versailles a Parigi: i rivoluzionari dell’Assemblea Nazionale Costituente avevano posto fine al potere assoluto della monarchia, ponendo dei precisi limiti all’azione di governo del re. Per questo motivo, mentre i lavori dell’Assemblea legislativa proseguivano, nel giugno del 1791 Luigi XVI, deciso a mantenere il proprio potere sullo stato, tentò di fuggire da Parigi per entrare nei Paesi Bassi austriaci, da dove pensava di poter allacciare dei rapporti diplomatici con l’Austria per fermare la rivoluzione e ristabilire la monarchia assoluta. Riconosciuto vicino all’attuale frontiera con il Belgio, Luigi XVI fu ricondotto a Parigi e, da questo momento in poi, visse strettamente sorvegliato: per far credere all’opinione pubblica che non avesse voluto fuggire, si sparse la voce che fosse stato rapito. Nonostante ciò, il tentativo di fuga da parte del re fu comunque interpretato come un tradimento della nazione.
Dopo la prima fase della Rivoluzione conclusa con la Costituzione del 1791, i fatti del 1792 sono decisivi per il prosieguo del movimento rivoluzionario. Infatti, nonostante le riforme attuate dall’Assemblea Nazionale Costituente, la Francia versava ancora in uno stato di profonda crisi, per due ordini di motivi: alla persistente crisi economica e sociale interna allo stato francese si aggiungeva, infatti, anche una minaccia esterna, proveniente dalle monarchie assolute europee (in particolare di Austria e Prussia) che guardavano con sospetto e preoccupazione ai fatti che stavano accadendo in Francia.
Per quanto riguarda la crisi interna dello stato, la Francia, nonostante gli sforzi di riorganizzazione amministrativa e tributaria, era ancora colpita da una grave crisi economica, tanto che nella strade di Parigi infuriava la protesta del popolo cittadino: la requisizione delle terre al clero e alla nobiltà non dava i frutti sperati, e le finanze dello stato erano pressoché esaurite. A Parigi, inoltre, tra le diverse forze rivoluzionarie, crebbe di importanza il gruppo dei cosiddetti “sanculotti” (dal francese sans-culotte, “senza-calzoni”, per il fatto che non vestivano alla maniera degli aristocratici, ma in abiti popolari); i sanculotti erano espressione del terzo stato cittadino: erano artigiani, piccoli commercianti, salariati, disoccupati, che avevano preso il controllo del Comune di Parigi ed erano guidati da un avvocato, Maximilien Robespierre, che era stato eletto agli Stati Generali come rappresentante del Terzo stato nel 1789. Diversamente dai borghesi che avevano animato la prima fase della Rivoluzione Francese, i sanculotti erano l’espressione politica delle classi sociali favorevoli all’instaurazione di una repubblica eletta a suffragio universale. Inoltre, i Sanculotti erano stati protagonisti dell’uccisione senza processo di un migliaio di sospettati controrivoluzionari e sostenitori della società di antico regime.
In secondo luogo, all’esterno dello stato, gli eserciti delle monarchie assolute austriaca e prussiana premevano sui confini francesi: Luigi XVI infatti, segretamente, aveva cercato di favorire il sostegno dei sovrani europei contro la rivoluzione; questi ultimi, dal canto loro, temevano che la rivoluzione potesse diffondersi anche nel resto dell’Europa e mettessero in crisi il loro potere assoluto nei propri stati.
Di fronte a questa situazione di minaccia da parte di Austria e Prussia, l’Assemblea legislativa francese decise di giocare d’anticipo, e il 20 aprile del 1792 dichiarò guerra all’Austria. In modo inaspettato, l’esercito della Francia rivoluzionaria, formato da truppe scarsamente addestrate e prive di equipaggiamento, riuscì a sconfiggere le forze austriache e prussiane nella battaglia di Valmy (nel settembre 1792) e conquistò alcuni territori di confine come Nizza, la Savoia, il Belgio. Agli occhi dei sostenitori della rivoluzione, questo successo era una segnale della forza di un popolo che non combatteva per denaro o per il proprio sovrano, ma per la libertà di un intero popolo e per la salvezza della rivoluzione.
Fonte iconografica n. 5:“La battaglia di Valmy”, dipinto di J. B. Mauzaisse, 1835.
Proprio mentre la Francia otteneva dei successi nella guerra contro le monarchie assolute europee, in politica interna si formò una nuova assemblea (chiamata “Convenzione Nazionale”), eletta a suffragio universale maschile e influenzata dai gruppi più apertamente rivoluzionari (in particolar modo dai Sanculotti), e composta da tre principali partiti politici: i Girondini (che rappresentavano la “destra” della Convenzione Nazionale), e che desideravano mettere un freno agli eccessi popolari e rivoluzionari dei Sanculotti; i Girondini erano infatti il partito moderato, rappresentante della borghesia degli affari. Sul lato opposto, alla “sinistra” della Convenzione Nazionale sedevano i Giacobini (chiamati anche “Montagna”), che erano vicini ai Sanculotti, e sostenevano le misure rivoluzionarie più estreme, democratiche e antimonarchiche; i più importanti esponenti dei Giacobini erano Robespierre, Danton e Marat. Tra la “destra” dei Girondini e la “sinistra” dei Giacobini si trovava il vasto gruppo chiamato “centro” o “Palude”, che appoggiavano ora i Girondini, ora i Giacobini, ed erano indecisi monarchia e repubblica, tra la pace e la guerra.
La Convenzione Nazionale cercò di imporre delle scelte politiche ancora più rivoluzionarie e radicali rispetto a quelle dell’Assemblea Nazionale Costituente. Innanzitutto fu proclamata la Repubblica, che prese il posto della monarchia costituzione come forma di governo dello stato: la sovranità fu quindi affidata al popolo, che eleggeva il parlamento attraverso libere elezioni. In secondo luogo fu abolita la schiavitù, dando così una precisa attuazione legislativa al principio di uguaglianza tra tutti gli uomini stabilito dagli illuministi. Infine, la Convenzione Nazionale pose fine definitivamente alla storia della monarchia secolare della Francia: accusato di aver inviato delle lettere ai sovrani d’Europa per avere il loro aiuto, Luigi XVI, il re di Francia, fu processato per alto tradimento e nel gennaio del 1793 fu decapitato davanti ad una folla immensa nell’attuale Place de la Concorde; qualche mese dopo salì sul patibolo e fu decapitata sua moglie, Maria Antonietta.
Fonte iconografica n. 6: “La condanna a morte di Luigi XVI”.
4.2 LA RIVOLUZIONE IN PERICOLO E I GIACOBINI AL POTERE
La condanna a morte del re, pur essendo stata approvata dalla maggioranza dei cittadini che sostenevano la rivoluzione, gettò molti francesi in uno stato di disorientamento e di sconcerto, causato dalla fine delle certezze che fino a quel momento avevano costituito la solidità dello stato francese. Inoltre, la politica rivoluzionaria attuata nei confronti della Chiesa e del clero aveva colpito sfavorevolmente parte della popolazione francese che era ancora fedele alla tradizione secolare del cattolicesimo, stanziata prevalentemente nelle aree rurali del vasto stato francese.
Per questo motivo, in alcune regioni della Francia scoppiarono dei moti “controrivoluzionari” (contrari cioè alla rivoluzione), dove gruppi di cittadini di orientamento monarchico volevano vendicare l’assassinio di Luigi XVII e salvare il Cristianesimo: questi moti controrivoluzionari scoppiarono in un’ampia regione nord-occidentale, la Vandea, a Bordeaux, nella regione attorno a Lione e nel sud della Francia, sulla costa mediterranea. Come era accaduto dopo la Rivoluzione Inglese, anche in Francia scoppiò quindi una guerra civile, combattuta tra cittadini dello stesso stato: da una parte l’esercito rivoluzionario, che combatteva agli ordini della Convenzione Nazionale, dall’altro i ribelli contro-rivoluzionari, tra le cui fila militavano anche dei nobili francesi che non erano fuggiti all’estero. La repressione della Convenzione Nazionale contro i moti controrivoluzionari fu durissima: l’esercito dei sostenitori della Rivoluzione massacrò circa 150.000 ribelli, soprattutto nella regione della Vandea.
Per fronteggiare l’emergenza causata dalla crisi economica, dalle rivolte controrivoluzionarie e dalle sconfitte nella guerra contro le monarchie europee, la Convenzione Nazionale nell’aprile del 1793 decise di affidare tutti i poteri dello stato ad un organismo ristretto, composto da poche persone, denominato “Comitato di Salute Pubblica”. Il Comitato era formato da soli sette membri, e guidato dal giacobino Maximilien Robespierre, che accentrò il potere su di sé, instaurando una sorta di dittatura, con l’obiettivo fondamentale di salvare la rivoluzione dalle minacce interne ed esterne. I provvedimenti presi dai Giacobini e da Robespierre furono radicali e rivoluzionari, e riguardarono soprattutto la politica interna.
Per proteggere le classi sociali più povere, Robespierre pose un calmiere (cioè un prezzo massimo) sul prezzo del grano e dei generi alimentari di prima necessità. Per mantenere e rafforzare l’esercito che combatteva contro le monarchie europee, il Comitato istituì la leva obbligatoria, ovvero l’obbligo da parte dei cittadini di contribuire in prima persona alla difesa dello stato. Per impedire che all’interno della Francia si formassero delle forze contrarie alla rivoluzione, i Giacobini istituirono un Tribunale Rivoluzionario, che aveva poteri amplissimi; poteva infatti processare e condannare alla pena capitale chiunque fosse sospettato di mettere in pericolo la rivoluzione. Alcune migliaia di oppositori vennero ghigliottinati dopo processi sommari; per questo motivo il periodo dall’autunno 1793 all’estate 1794 fu definito il “Grande Terrore”, quando circa 50.000 persone furono uccise senza processo, anche per il solo sospetto di essere contrarie alla rivoluzione.
Per affermare la laicità dello stato francese, furono abolite tutte le festività religiose e venne istituito il calendario rivoluzionario, che aboliva quello gregoriano e faceva incominciare la nuova era dalla data di proclamazione della Repubblica.
Infine, per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza fondiaria, il governo rivoluzionario che resse la Francia nel 1793-94 stabilì che gli indennizzi previsti a favore della nobiltà fossero annullati: la vendita dei beni della Chiesa proseguì e anche le proprietà delle famiglie aristocratiche furono poste in vendita. La rivoluzione in questa fase produsse quindi una grande redistribuzione delle terre, in gran parte a favore dei contadini.
Di fatto, il partito che stava alla sinistra della Convenzione Nazionale, quello dei Giacobini, attraverso il Comitato di Salute Pubblica, aveva concentrato tutto il potere nelle proprie mani: i metodi autoritari adottati dal Comitato portarono alla repressione degli avversari politici e persino di diversi esponenti giacobini contrari ai metodi di Robespierre.
5. IL RITORNO AD UNA RIVOLUZIONE BORGHESE
L’enorme sforzo compiuto dalla Francia negli anni della Convenzione Nazionale, tra il 1792 e il 1794, salvò lo Stato dall’attacco delle monarchie europee e soprattutto ottenne l’effetto sperato, ovvero quello di salvare la rivoluzione: l’esercito rivoluzionario riuscì a sconfiggere le coalizioni di stati europei che gli si opponevano, a riconquistare le città che si erano ribellate al governo di Parigi e a prendere di nuovo il controllo della Vandea.
A quel punto la politica del “Terrore” adottata dai Giacobini non poteva più essere giustificata con il pericolo della fine della Rivoluzione: molti deputati si accordarono quindi per togliere i poteri eccezionali che erano stati affidati a Robespierre e al Comitato di Salute Pubblica. Il 27 luglio 1794 (il 10 termidoro secondo il calendario rivoluzionario) Robespierre e i suoi più stretti collaboratori (Danton, Hebert, Saint-Just) vennero arrestati e il giorno successivo ghigliottinati senza processo.
Fonte iconografica n.7: “Esecuzione di Robespierre”, di autore ignoto, Biblioteca Nazionale, Parigi.
L’esecuzione di Robespierre e dei suoi sostenitori il 28 luglio 1794. I protagonisti sono numerati: l’uomo decapitato con il 6 è Cuthon, Robespierre (10) è seduto sul carro vestito in marrone con un fazzoletto portato alla bocca e indossa un cappello. Il suo giovane fratello Augustin (8) sta salendo il patibolo.
La seconda fase della Rivoluzione Francese si chiuse quindi con la condanna a morte di coloro che l’avevano promossa e che, con le loro scelte a volte ingiuste, ne avevano garantito la sopravvivenza. Nel nuovo ciclo che si aprì prevalse una linea politica moderata: il potere era stabilmente nelle mani della borghesia, dopo la parentesi democratica guidata dalla Convenzione Nazionale e dai giacobini.
La svolta politica fu sancita dalla nuova Costituzione del 1795, che, sulla base delle teorie di Montesquieu, era basata su una rigida separazione dei poteri: il potere legislativo era affidato ad un’Assemblea suddivisa in due Camere, la Camera dei Cinquecento e la Camera degli Anziani, mentre il potere esecutivo veniva assegnato a un Direttorio, un organo politico ristretto composto di cinque membri. Contrariamente a quanto avvenuto nella fase della repubblica, il diritto di voto fu riservato soltanto ai cittadini maschi che possedevano un certo reddito, come nella costituzione del 1791. In questo senso, con la morte di Robespierre e la presa del potere da parte del Direttorio, si ritornò nuovamente ad una fase borghese e moderata della Rivoluzione Francese.
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