Febo e Fetonte
“Mio padre trasporta il sole ogni giorno attraverso i cieli su una carrozza infuocata, tirata da quattro ardenti cavalli”, diceva. “Mio padre viaggia in una palla brunita da est a ovest”, continuava. Alla fine, un ragazzo della sua età, stanco di tutte queste vanterie, gli disse: “Se tuo padre è veramente il dio del sole, ebbene, dammene la prova!”
Fetonte allora andò da sua madre e lei lo mandò al palazzo del Sole. Quando vide suo figlio per la prima volta, Febo si stupì: era di una raggiante bellezza, con capelli del colore del sole che sorge e occhi dello stesso blu dei cieli. Si avvicinò a grandi passi, piuttosto coraggiosamente, al trono del padre, ma di fronte allo splendore della divinità solare fu costretto a proteggersi gli occhi.
Fetonte gli domandò qualche prova per dimostrare al mondo che lui era il figlio di Febo. Il dio acconsentì, ma scoprì con orrore che Fetonte voleva guidare il carro del Sole. Con animo triste, condusse suo figlio fuori dalle scuderie dove i quattro cavalli ardenti scuotevano le loro criniere e li imbrigliò alla carrozza infuocata.
Febo unse la faccia del figlio per proteggerlo dai raggi infuocati del sole. “Non incitare i cavalli”, lo avvertì: “Tienili sempre a freno!”.
Ma fu inutile: i cavalli capirono subito che teneva in mano le redini qualcuno meno forte di chi li guidava abitualmente. E così galopparono senza controllo attraverso i cieli, talvolta troppo in alto, lasciando che i terreni si raffreddassero e che i fiumi gelassero, altre volte troppo in basso, bruciacchiando la terra fino a ridurla ad un deserto e asciugando i fiumi. Fu la stessa Madre Terra a chiedere pietà a Zeus, il capo di tutti gli dei. Zeus sospirò, poi lanciò un fulmine contro il giovane conducente, che cadde morto nel fiume Po. Le sue sorelle in lutto furono trasformate in alberi di pioppo e le loro lacrime si mutarono nelle ambre che le giovani romane usavano come gioielli per il giorno del matrimonio.
Quanto a Febo, si addolorò a tal punto che ci fu un’eclissi di sole che durò tre giorni.
Ma alla fine anche lui dovette ammettere che Zeus non avrebbe potuto fare altrimenti. Prese di nuovo in mano le redini. Il suo splendore era offuscato per sempre ma il mondo aveva ancora bisogno di luce.